“Se un fatto non è testimoniato da una presenza sui social media, pare non esistere. Così accade anche per la morte”. Monica Bormetti, psicologa ed esperta di digitale, spiega in questo modo le tante testimonianze che si leggono sui social network e che a volte si rivolgono direttamente alle persone care che non ci sono più.
“Si tratta di un fenomeno che esprime lo stato del tempo che viviamo” – spiega Bormetti. “Il dolore e cordoglio per la perdita di un caro trova spazio anche nell'etere, non solo nelle camere mortuarie nei quartieri che viviamo. Dato che oggi buona parte della nostra vita si dipana nel digitale, e ha una valenza di realtà probabilmente pari a ciò che accade nel fisico, credo sia normale che anche l'espressione dei propri sentimenti legati alla morte trovino spazio sui social. Salutare su Facebook una persona cara che non c'è più risponde anche al nostro bisogno di avere dei testimoni del nostro mondo interiore in un certo senso. Vogliamo che altri sappiano del nostro dolore e quindi esprimerlo nella piazza virtuale ci può aiutare a sentire un contatto con gli altri”.
Quali le opportunità e quali i rischi del mantenere "vivo" il legame tramite strumenti quali i social network site?
"L'opportunità può essere il piacere di sentire un, seppur debole, legame con la persona persa. Come un tempo si sfogliavano gli album fotografici accarezzando il ricordo di chi era venuto a mancare e magari cercando di parlargli, oggi lanciare dei messaggi sui social al nostro caro può assolvere ad una funzione simile. Un po' con la speranza che l'etere faccia da tramite tra due dimensioni diverse. Il rischio sta nel non riuscire a metabolizzare la perdita nella propria vita. La morte è parte, costante, della vita. Vivere nell'illusione e continua ricerca di mantenere vivo chi non c'è più, può essere un ostacolo al ricostruirsi una vita nel presente, fatta di altre persone intorno a noi".
La tecnologia digitale è già oggi impiegata con chatbot e sistemi di intelligenza artificiale per far "rivivere" la persona che non c'è più. Cosa ne pensi? Quali i limiti di queste nuove applicazioni?
"Penso che il rischio sia la non accettazione della morte. E questo può essere un forte ostacolo, per chi rimane, a costruirsi una nuova vita. Il ché non significa dimenticare il passato con le persone care che lo hanno caratterizzato. L'elaborazione del lutto passa da diverse fasi, una è la non accettazione. Ecco il rischio potenziale di sistemi di IA che facciano "rivivere" la persone che non c'è più è tenere i vivi nella fase di non accettazione e quindi in difficoltà per andare avanti".
Quanto conta ancora il luogo di sepoltura per le persone? Si può virtualizzare anche questo o ha ancora un senso poter visitare un posto reale?
"Credo che il luogo di sepoltura conti molto. Abbiamo bisogno di una tomba su cui piangere i nostri morti, anche se in alcuni casi è più un simbolo che non il luogo reale in cui giace il corpo. Per come il mondo sta cambiando e per la realtà on-life in cui siamo immersi, dobbiamo anche considerare che reale non è l'opposto di digitale. Oggi reale può essere digitale o analogico, o a volte un mix delle due dimensioni in cui i confini diventano sempre più deboli. Quindi credo che le persone abbiano bisogno di un luogo reale a cui far riferimento, ma questo potrà essere sia digitale che fisico".